“La bozza di articolato prodotta dall’Aran, fatta circolare e neppure ancora discussa, è del tutto inaccettabile.
Se il contratto dovesse assomigliare a questa bozza, noi non potremmo assolutamente sottoscriverlo.
E deve essere chiaro che non saremmo disponibili a firmarlo neanche se le risorse stanziate per l’aumento stipendiale aumentassero, perché per il nostro sindacato funzione docente e orario di insegnamento sono punti fondamentali di cui chiediamo il pieno rispetto.
Se non si scioglieranno questi nodi, non si andrà da nessuna parte”.
A dichiararlo è Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti, che sintetizza così la posizione espressa dall’Assemblea nazionale riunitasi a Roma il 26 e 27 gennaio per discutere del rinnovo del contratto.
“Da molti anni nelle scuole italiane la categoria degli insegnanti è oberata da una mole di lavoro che non le compete e che viene camuffata come funzione docente.
In realtà - denuncia Di Meglio - stiamo assistendo all’introduzione di una strisciante forma di lavoro nero che porta gli insegnanti a restare a scuola a disposizione dei dirigenti scolastici molte più ore di quelle dedicate all’insegnamento.
Si tratta di tempo in cui i docenti vengono impiegati per svolgere compiti a cui non corrisponde alcun riconoscimento economico o per i quali vengono retribuiti 3 euro l’ora, meno di quanto percepisce una colf.
È una situazione indegna che deve finire” ammonisce il coordinatore della Gilda che ricorda quanto sancito da una direttiva europea recepita dall’ordinamento italiano: “È orario di lavoro tutto il tempo che il prestatore d’opera passa a disposizione del datore di lavoro. Si tratta di un concetto molto importante e sarebbe auspicabile che nel contratto questa norma fosse richiamata per far capire che l’insegnante è sì un lavoratore intellettuale, ma che ha anche diritto al suo tempo, cioè al bene più prezioso che ha l’essere umano”.
Sul versante economico, Di Meglio ribadisce che “neppure i già miserabili 85 euro medi pro capite ci sono, perché il ministero dell’Economia ha calcolato su base percentuale (il 3,48%, ndr) le risorse da destinare agli incrementi in busta paga. Poiché la scuola ha gli stipendi più bassi di qualunque altro comparto del pubblico impiego, se gli aumenti vengono assegnati su base percentuale anziché in termini assoluti, i famosi 85 euro scendono a 72 euro medi.
Così - commenta amaramente il coordinatore nazionale - si realizza un’ulteriore beffa ai danni degli insegnanti rispetto agli altri pubblici dipendenti, perché la forbice si allarga invece di restringersi”.
La differenza di trattamento non risparmia neanche il personale amministrativo: “Un collaboratore scolastico ha una retribuzione inferiore rispetto al suo omologo in servizio all’università”. Per sanare questa sperequazione, la Gilda indica una strada precisa: far confluire nelle retribuzioni le risorse stanziate dalla legge 107/2015. “Ciò consentirebbe di pareggiare il conto e anche di ottenere un certo risultato politico. Se queste condizioni si concretizzeranno, si potrà sperare in un esito positivo. Altrimenti - avverte Di Meglio - la strada per il rinnovo del contratto diventerà davvero impervia”.
“Non mi sorprende che il Governo voglia chiudere presto la partita del contratto, in campagna elettorale è costume della politica cercare di catturare il consenso comprandolo con i soldi che ha a disposizione. La politica spera che, in cambio di qualche euro, l’elettore sia più clemente.
Ma è risaputo - conclude il coordinatore della Gilda - che la fretta è una cattiva consigliera”.
Roma, 29 gennaio 2018