Tutti di ruolo, nessuno inamovibile. Una proposta sul nodo dei precari
Pietro Ichino - Corriere della Sera
Caro Direttore,
la direttiva europea numero 70 del 1999 vieta agli Stati membri di consentire che il contratto a termine sia utilizzato come strumento ordinario di assunzione dei lavoratori; e impone comunque la parità di trattamento fra assunti a termine e assunti a tempo indeterminato. In applicazione di questa direttiva, il Tribunale di Genova ha condannato lo Stato italiano, che pratica come normale l'assunzione a termine dei nuovi insegnanti nella scuola e attribuisce loro un trattamento nettamente inferiore rispetto a quelli di ruolo. Il rischio per le esauste casse dello Stato è elevatissimo, perché i lavoratori di serie B o di serie C nella scuola sono oltre 150 mila. Come se ne esce?
Per ottemperare alla direttiva europea occorrerebbe stabilizzare tutti quanti. Questo, però, alle condizioni attuali è impossibile: non solo perché costerebbe troppo, ma anche perché il rapporto di impiego «di ruolo» è troppo rigido per potersi applicare a tutti. Quei 150 mila precari oggi portano - da soli - tutto il Deso della flessibilità di cui il sistema scolastico ha bisogno. Governo e sindacati stanno studiando la possibilità di stabilizzarne soltanto una parte; ma anche questo non risolverebbe nulla, perché la discriminazione vietata dal diritto europeo resterebbe in vita nei confronti dei moltissimi che rimarrebbero fuori.
C'è un modo solo per uscirne: ridefinire la disciplina dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato per tutte le nuove assunzioni che avverranno d'ora in poi, in modo che essa possa applicarsi davvero a tutti, senza portare con sé costi eccessivi e in modo che la flessibilità necessaria sia ripartita in modo uguale su tutti: solo questo può evitare una grandine di ricorsi giudiziali destinati a moltiplicare per centomila gli effetti della sentenza di Genova.
In altre parole: il vincolo posto dal diritto europeo ci obbliga - se vogliamo evitare la bancarotta dello Stato - a una riforma profonda del rapporto di impiego nella scuola, che superi l'attuale apartheid fra insegnanti di ruolo e insegnanti di serie B o C. D'ora in poi, tutti a tempo indeterminato, ma nessuno inamovibile. E non è difficile prevedere che lo stesso discorso finirà per estendersi anche alle altre amministrazioni pubbliche, dove l'apartheid è ormai pratica largamente consolidata: si calcola che i «precari permanenti» nel comparto pubblico siano oltre 500 mila.
La direttiva europea, del resto, è vincolante anche per il comparto privato. Lo stesso identico problema è dunque destinato a riproporsi anche nel settore editoriale, in quello delle case di cura, e in molti altri settori del nostro tessuto produttivo, dove è difficilissimo essere assunti con un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e dove l'apartheid tra protetti e non protetti è la norma ormai da un quarto di secolo. Se la questione è dappertutto la stessa, anche la soluzione deve essere la stessa: un nuovo diritto del lavoro capace di applicarsi davvero a tutti i rapporti destinati a costituirsi da qui in avanti. Se, poi, con l'occasione, saremo capaci anche di semplificarlo, sarà tanto di guadagnato per tutti.